Le etichette discografiche sono un ramo delle industrie creative che operano nel settore dell’audio da più di 100 anni.
La prima etichetta discografica, infatti, fu creata nel 1888 a New York e stiamo parlando della Columbia Records (tutt’ora in attività).
Esistono, al giorno d’oggi, ormai tantissime etichette, suddivise in major ed etichette indipendenti.
L’industria musicale negli anni ’70 e ’80 ebbe un consolidamento che portò poche compagnie multinazionali ad avere il controllo della maggior parte delle più grandi etichette discografiche. Le etichette principali vennero, in seguito, acquistate da grandi multinazionali, attualmente 3 nel mercato discografico, rispettivamente Universal Group, Sony Music e Warner, che fanno oggi parte della RIAA (Recording Industry Association of America) e che detengono la maggior parte dell’industria musicale. Controllano, infatti, circa il 90% del mercato discografico, con una quota di mercato, a livello mondiale, pari al 71,3%.
All’inizio degli anni ’80 l’etica DIY (Do It Yourself) utilizzava questo metodo per incoraggiare le band emergenti del periodo all’autoproduzione e all’auto-distribuzione dei propri dischi.
Verso la fine degli ani ’90 nascono le etichette discografiche online. Oggi l’80% dell’industria musicale trae ormai quasi esclusivamente profitto dalla vendita sul web dei propri prodotti.
Con la nascita delle etichette online abbiamo, da un lato, una riduzione complessiva dei costi (stampa fisica e distribuzione dei prodotti nei vari negozi) e dall’altro, attraverso il metodo di upload, un maggior introito per gli artisti e per le etichette discografiche di conseguenza, che si trovano a risparmiare parecchio per quanto riguarda la produzione e la capitalizzazione del prodotto.
Un’etichetta online rilascia in media circa 30/70 brani a settimana, cioè 2400 uscite annue. Ipotizzando che ogni traccia venga scaricata 100 volte si arriva ad avere un profitto di circa 200.000 euro lordi annui. Tra le più famose etichette discografiche online c’è la Spinnin Records olandese o la Ultra Records negli Stati Uniti.
Le etichette indipendenti, slegate dalle multinazionali (anche se talvolta sono legate ad esse da accordi di distribuzione fisica, non digitale) detengono, a livello mondiale, una quota mercato del 68,3%.
I processi di produzione di un disco che vengono fatti da una major, ad es: pre-produzione, produzione, post-produzione, promozione e distribuzione, sono molto conformi a quelli usati da un’etichetta indipendente. Quest’ultima, però, permette all’artista un controllo più globale sulla propria produzione (dalla musica al testo, alla grafica, ecc.), ma soprattutto da una maggiore libertà espressiva. Le major, invece, molte volte applicano alcune modifiche al disco (modifica al testo o alla melodia, alla lunghezza, alla copertina, ecc…) avendo l’ovvio intento di ottenere maggior successo di vendita, creando, spesso, anche un senso di frustrazione nell’artista che percepisce il lavoro pubblicato come non proprio.
Per quanto riguarda, invece, gli attori presenti in una major o in un’etichetta indipendente sono gli stessi, come: A&R, produttori, ingegneri e tecnici del suono, manager, grafici, photographer, ecc…,svolgendo lo stesso compito in entrambi i tipi di etichette discografiche.
Oltre allo staff qualificato, ciò che caratterizza un’etichetta, al giorno d’oggi, è sia la quantità e la qualità dei brani che vengono pubblicati ma, soprattutto, il genere musicale: non a caso, le major rilasciano al 90% musica pop mainstream, un genere passabile spesso in radio, ma soprattutto che colpisce le persone sotto l’ aspetto musicale, accompagnato da un video ufficiale.
L'argomento è molto interessante ed è scritto molto bene.
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